mercoledì 30 marzo 2011

Michael O'Leary - l'irlandese volante

In meno di 20 anni ha trasformato una linea area scalcinata in una delle più forti compagnie d'Europa, Michael O'Leary, l'uomo che ha inventato i biglietti low cost.

Gli snack in volo? Si pagano.
Le prenotazioni off line? Costano di più.
Un bagaglio di troppo? Resta a casa o bisogna mettere mano al portafoglio.

La filosofia di Michael, ricchissimo amministratore delegato di Ryanair, è semplice: biglietti scontati, ma servizi a pagamento.

Grazie alla sua visione di business è diventato l'innovatore del mercato aereo europeo, ma come ce l'ha fatta?

Nato nel 1961 a Kanturk, 250 km a sud-ovest di Dublino, fino al diploma i suoi risultati scolastici non brillano, ma, già prima di laurearsi in Business al Trinity College di Dublino (una delle scuole più prestigiose d'Irlanda), riesce ad accumulare denaro, risparmiando sulla paghetta e arrotondando come barista.

I suoi obiettivi sono chiari: guadagnare più denaro possibile, per coprirsi le spalle da quei rovesci finanziari che avevano compromesso le sorti familiari.

Nel 1983 però l'Irlanda dava poche opportunità ai neolaureati e gli viene dato un posto come contabile in una grande azienda, accetta controvoglia perchè malpagato, ma ha l'opportunità di conoscere Tony Ryan, un cliente che in pochi anni aveva costruito un piccolo impero noleggiando aerei alle compagnie di bandiera.

Lascia il posto fisso e si mette in proprio con un'edicola, dice: "Aprivo alle 7 di mattina e chiudevo alle 11 di sera, così ho imparato come si gestisce un'impresa"; in tre anni incassa 250 mila euro.

A quel punto bussa alla porta di Ryan che, due anni prima, aveva aperto una linea area concorrente alla compagnia di bandiera irlandese, Michael, pur di essere assunto, si offre a stipendio zero: unico guadagno, il 5% degli introiti annuali incassati grazie al suo lavoro.

Il suo compito?, scoprire perché la linea area fosse in perdita costante malgrado l'aumento dei passeggeri, la missione sembrava disperata.

La sua prima mossa è strategica: elimina tutti i costi più salati, dall'intero dipartimento marketing alle polizze assicurative.

Ha diminuito fino al 25% gli stipendi dei piloti, rinegoziato i contratti delle forniture di carburante ed eliminato i cibi costosi del catering.

Nel 1991 diventa direttore finanziario della compagnia e ottiene, la promessa, da parte di Ryan, del 25% dei guadagni che la compagnia fosse stata in grado di incassare oltre i 2,5 milioni di fatturato.

Un miraggio che lo induce a ritmi di lavoro serratissimi e interventi in qualsiasi area aziendale, ma non è sufficiente; l'ultima spiaggia sembra un viaggio negli Usa, dove la Southwest Airlines intasca decine di milioni di dollari con i suoi voli low cost.

Scopre così che gli aerei Southwest scelgono scali secondari, restando a terra solo per mezz'ora (rispetto agli altri che si fermavano anche un'ora e mezza), veloce anche il check-in dei passeggeri, spediti a bordo senza numero di sedile.

La formula è semplice e replicabile anche in Europa.

Tornato in Irlanda, riesce a dimostrare in solo tre mesi che prezzi più bassi rispetto alla concorrenza incrementano in modo sensibile gli affari.

L'apertura del mercato è ghiotta per tutti: nel giro di pochissimo tempo Ryanair conta numerosi nuovi competitor, tra cui il gruppo Virgin di Richard Branson.

Per contrastare la concorrenza O'Leary potenzia la flotta con un nuovo aereo dotato di più posti passeggeri; la possibilità di acquistare tariffe ridotte con un solo giorno di anticipo rispetto al viaggio.

L'innovazione è epocale, tale da far raggiungere oltre un milione di passeggeri a una compagnia che si limitava ai collegamenti tra Irlanda e Gran Bretagna.

Ma ecco che arriva un altro terremoto firmato O'Leary: la riduzione dei costi aeroportuali a carico della compagnia, nell'ottica di ridurre le spese aziendale e limitare ulteriormente le tariffe.

Il rospo non è semplice da mandar giù per i dirigenti degli scali, ma il business low cost di O'Leary dimostra che i clienti aumentano.

Continua la sua avanzata con il resto d'Europa, stipulando accordi con gli aeroporti secondari di Parigi, Bruxelles e Stoccolma, nel 1996 i suoi profitti personali raggiungono quasi 10 milioni di euro.

Nel 1997 lancia la compagnia in Borsa e, da allora Michael O'Leary non si è più fermato.

Michael O'Leary sostiene fra le altre cose: "Non c'è nulla che un dirigente non possa fare in azienda: dal portare i bagagli a tagliare i costi".

Ogni anno, Ryanair dona una somma a sei cifre a un ente benefico deciso dai dipendenti.

Articolo tratto da: Millionarie - Gennaio 2011

giovedì 24 marzo 2011

Steve Jobs - Una mela per salvare il mondo

Considerato il guru dei media digitali, Steve Jobs è il creatore della Apple, un visionario capace di reinventare il futuro fra cocenti successi e clamorosi flop.

Non sarà l'imprenditore più ricco del mondo, ma è il più conosciuto e amato, da almeno tre generazioni.

Su Facebook, il sito di social network, è proprio il fondatore e numero uno di Apple, l'imprenditore con il maggior numero di fan della globosfera.

La sua vita ha tutti gli elementi per conquistare qualsiasi platea (un giorno diventerà un film), i saliscendi della sua carriera sono incredibili: dalle stalle alle stelle e ritorno, grandi successi, sonori fallimenti e impensabili resurrezioni.

Un'infanzia da bimbo adottato, una giovinezza turbolenta da hippie, una carriera (non sempre facile) da visionario e innovatore, un tumore maligno scoperto nel 2003.

Licenziato nel 1985 dalla stessa azienda che aveva fondato (Apple), è rientrato dopo 12 anni per riportarla a un clamoroso successo, sfornando prodotti rivoluzionari (iPod - iPhone).

Una carriera, purtroppo, da qualche mese offuscata da una malattia, che lo ha costretto a prendersi mesi di pausa; la perdita di peso cominciata la scorsa estate, ha causato inquietudine nei mercati e provocato forte instabilità nelle quotiazioni del titolo della società.

Un segno, questo eterno ragazzo di 54 anni, lo lascerà in almeno quattro settori: nel mondo dei personal computer con il lancio di Apple e nel mondo della telefonia con l'iPhone.

Il mondo della tecnologia deve dire grazia a Steve Jobs anche in altri campi; l'industria cinematografica e dei cartoni animati, non sarebbe, oggi, la stessa senza il decollo della Pixar, l'azienda che ha prodotto film da campioni d'incasso come: Toy Story, A bug's life, Alla ricerca di Nemo, Gli incredibili, Ratatouille e il recente Wall-E.

E il mondo della musica?

iTunes ha sconvolto e creato ancora una volta un mercato che non esisteva, lanciando con successo l'iPod e l' iTunes Music Store, fino a quel momento il mondo della musica on line era considerato solo un terreno in mano ai pirati informatici.

La madre di Jobs, giovane studentessa universitaria, aveva deciso di dare in adozione il piccolo appena nato, chiedendo però ai servizi sociali che fosse adottato da una coppia di laureati, ma, nonostante gli sforzi della madre di garantirgli un futuro sicuro, fu assegnato a due persone dal curriculm modesto (il padre non era nemmeno diplomato), che promisero di mandarre Steve al college.

A 17 anni Steve scelse uno dei college più costosi e tutti i risparmi dei genitori furono investiti per pagare le rette, ma, dopo 6 mesi non sapeva minimamente ciò che avrebbe voluto fare della sua vita, così mollò tutto.

Abbandonati gli studi, Steve vive un periodo scapestrato fra viaggi in India alla ricerca di se stesso e la condizione di giovane senza un dollaro in tasca, costretto a dormire sul pavimento delle camere dei suoi amici.

Per raggranellare qualcosa riportava le bottiglie di Coca-Cola vuote al venditore, in cambio aveva cinque centesimi di deposito e, una volta la settimana, la domenica sera, camminava per sette miglia attraverso la città per avere un buon pasto al tempio degli Hare Krishna.

Steve ricorda questi anni come i più importanti per la sua carriera, al Reed College frequenta il corso di Calligrafia e impara tutto sui caratteri tipografici, grazie a questa esperienza, 10 anni dopo, il Macintosh sarà il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute.

E' l'incontro con Steve Wozniak a risultare determinante nella sua carriera, si conoscono all'Homebrew Computer Club, dove realizzano i primi strumenti elettronici programmabili, dando l'avvio alla rivoluzione informatica di massa.

Nel 1974 lavora come disegnatore di video game alla Atari Inc,, azienda pioniera nella creazione di giochi, mentre Wozniak è ingegnere alla Hewlett Packard.

Nel garage di casa, con un capitale di partenza di 1.300 dollari (ricavato vendendo tutto quel che possedevano), realizzano il primo prototipo di computer, l'Apple I; ma Steve vuole di più e così crea il prodotto che segna il primo grande salto l'Apple II, grazie all'investitore Mike Markkula che crede in lui.

Il successo di questo computer è fenomenale e consente ai due di quotarsi in Borsa nel 1980, trasformando Jobs a 25 anni, nel fantamiliardario più giovane d'America.

Seguirono alcuni flop, ma Steve Jobs riparte.

Il resto è storia che conosciamo tutti, una serie di clamorosi successi commerciali.

"Amate quello che fate e non accontentatevi mai. Siate affamati. Siate folli", Steve Jobs

Tratto da: Very Millionarie

lunedì 21 marzo 2011

Luca Tommasini - Nato ai bordi di periferia

Luca, nasce nel quartiere popolare di Primavalle, periferia nord di Roma; padre meccanico, è assente nella sua infanzia; con i primi soldi che ha guadagnato ha comprato una casa alla madre, voleva regalarle un po' di serenità.

A 16 anni è partito per l'America con un sogno: ballare con le star americane.

Ce l'ha fatta, ed è tornato; oggi è direttore artistico di X-Factor e regista di videoclip; è stato il ballerino più pagato del mondo, ha lavorato con tutte le più grandi star italiane e internazionali: da Madonna a Prince, da Fiorello a Geri Halliwell.

Ma non si è fermato alla danza, è anche coreografo e regista di videoclip ed aventi musicali, autore e consulente di immagine, Luca Tommasini ha un curriculum da paura.

"Sognavo di fare il ballerino fin da bambimo, ma la mia famiglia era molto modesta, i soldi erano pochi, la mia fortuna?, Enzo Paolo Turchi, uno dei maggiori coreografi di quegli anni, aveva aperto una scuola sotto casa mia, mia madre andava a fare le pulizie per potermi pagare le lezioni di ballo.

Tramite Enzo Paolo ho fatto i miei primi lavori in tv e, ogni estate, partivo per l'America per studiare: la prima volta avevo 16 anni.

Il mio obiettivo era diventare bravo e, nella danza moderna gli americani erano insuperabili, mettevo da parte i soldi durante l'inverno e d'estate partivo, ma quei soldi non bastavano, e nel tempo che mi rimaneva lavoravo nella scuola: pulivo per terra, stavo in segreteria, facevo un po' di tutto.

Dormivo nel salottino della casa di due miei amici, ero disperato, non avevo soldi per mangiare e, quel poco che guadagnavo era in nero, ma ero intenzionato a rimanere; poi, ho partecipato a una trasmissione televisiva che si chiamava Star Search International (che scopriva nuovi talenti) e, ho vinto come miglior ballerino internazionale dell'anno nel mondo, e questo mi ha dato visibilità.

Ma la vera svolta è avvenuta quando ho partecipato alle audizioni per la notte gli Oscar, ma erano riservate a chi aveva il permesso di soggiorno.

Per partecipare ho scavalcato il cancello degli Studios e mi sono buttato nella mischia, eravamo in tremila, la coreografa, Paula Abdul, cercava solo due ballerini, ma ci sono riuscito, ero talmente emozionato che mi sono messo a piangere.

Allora, le ho confessato tutto, lei mi ha portato nella sua auto e ha telefonato al suo avvocato per chiedergli di farmi un contratto "fittizio", di due anni, quel contratto mi ha permesso di diventare un legal resident.

Sono stati anni molto duri per me, non parlavo inglese, avevo lasciato la mia famiglia, i miei amici, non c'erano i cellulari, non c'era Internet, tutte le sere mi addormentavo piangendo.

Scaduto il primo contratto di due anni, vengo a sapere che Whitney Houston stava cercando quattro ragazzi di colore per il suo tour mondiale, io non avevo il fisico, sono basso; mi sono messo i tacchi all'interno delle scarpe e mi sono presentato, mi ha scelto: tre ragazzi di colore e io.

Consiglio a tutti i ragazzi di viaggiare, andare a sperimentare, se fossi rimasto in Italia non avrei avuto la carriera che ho fatto.

Non mi ritengo un grandissimo talento, ho soltanto la terza media, sono un ottimo ballerino, ma non il più bravo, però ho carisma e la capacità di trasmettere emozioni, la mia fortuna sta nel fatto che ci ho sempre creduto.

Come ballerino ero uno dei più pagati al mondo e anche come coreografo ho firmato tantissimi contratti in molti Paesi.

Avevo aperto due società con 30 dipendenti e sedi a Londra, Los Angeles e Roma, lavoravo 20 ore al giorno, per 12 anni, non sono mai andato in vacanza, non avevo nessun legame vero ma solo amicizie sparse in tutto il mondo.

A 30 anni sono entrato in depressione, e ci sono rimasto per tre anni, lavoravo a fatica, è stato durissimo, i soldi non sono tutto, due anni fa ho chiuso i miei uffici, ho venduto le mie case (ne avevo sette) e mi sono trasferito a Roma, ho cambiato stile di vita".

Articolo tratto da: Millionarie - Marzo 2009

martedì 15 marzo 2011

Davide Oldani, lo Chef Pop


Cresciuto nella cucina di Marchesi, oggi Davide Oldani è uno dei cuochi più quotati a livello internazionale, il suo ristorante, ha una lista d'attesa di 12 mesi, ma lui continua a definirsi "popolare".

Nato a Cornaredo (MI) nel 1967, Davide ha frequentato la Scuola Alberghiera, per poi iniziare la gavetta nel 1986 presso il ristorante di Gualtiero Marchesi, considerato il fondatore della "nuova cucina italiana".

Nel 1990 si trasferisce a Londra per lavorare al Le Gavroche, l'anno seguente è a Monte Carlo nella cucina del Le Louis XV, la sua formazione si è completata con esperienze a Tokyo, New York, Parigi, Barcellona e nel Bahrein.

Nel 1998, in qualità di chef del ristorante milanese Giannino, ottiene la sua prima stella dalla Guida Michelin.

Nel 2003 ha aperto il ristorante D'O a Cornaredo (MI), nel 2008 ha ricevuto l'onorificenza Ambrogino d'oro.

"Sognavo di fare il calciatore, a 16 anni ero già in serie C2, ma durante una partita, una doppia frattura a tibia e perone mi ha fatto abbandonare lo sport, per passare al mio sogno di riserva - la cucina - in casa mi piaceva darmi da fare tra i fornelli e voglia di studiare non ne avevo, la scuola albeghiera mi dava la possibilità di tenere le mani in pasta e imparare.

Sono riuscito a emergere con spirito di sacrificio, ho cercato un progetto che fosse adatto a me e mi sono impegnato ogni giorno, con tutte le mie forze (è quello che faccio anche oggi).

Da teenager non andavo in settimana bianca con i compagni e non ho mai frequentato le discoteche, i miei obiettivi erano imparare a fare le salse, cucinare la carne sapere quale verdura comprare, sono un perfezionista, felice di dedicare la maggior parte della giornata alla mia passione.

Mentre frequentavo la scuola alberghiera sono riuscito a farmi notare e così ho potuto entrare nella cucina di Marchesi, una volta lì ho fatto di tutto, la fortuna non esiste, si studia e poi si mette in pratica, si ripete per anni la stessa cosa finché si diventa bravi, si semina e poi si raccoglie.

Ogni giorno faccio due passi avanti e uno indietro, ma l'obiettivo è la crescita costante e io sono molto severo con me stesso.

Andari 'fuori casa' è indispensabile: si osserva e si impara, purtroppo, in Italia manca la filosofia dello stacco del cordone ombelicale, così molti giovani sono viziati.

Aprire un ristorante tutto mio è stato il traguardo iniziato 20 anni prima, Marchesi dice che bisogna fare come le spugne, si inizia con l'assorbire per poi rilasciare ciò che si è appreso, ho investito tutti i miei risparmi e, in principio, avevo qualche timore.

Ora però dormo tranquillo, non lavoro più in cucina, mi occupo dell'organizzazione, ho creato posate e bicchieri e mi concedo il lusso di avere due giorni di riposo la settimana.

In cucina, cerco di mettere il cuore in ciò che faccio: magari non sorrido perchè sono concentratissimo, ma cerco di ottenere come risultato un sorriso, da me e dai clienti.

Nello staff lavorano 10-11 persone e il rispetto è basilare in entrambi i sensi, la gerarchia è irrinunciabile: l'unica risposta accettata in cucina è Oui, chef!, le discussioni e i confronti sono ammessi perchè servono a crescere, ma in separata sede.

I giovani che lavorano con me devono aver fatto esperienza in altri locali, ma non devono aver cambiato troppi posti di lavoro: la credibilità si conquista anche con la capacità di sapersi fermare e farsi valere in un luogo.

Ho scritto un libro: La mia cucina pop.

Pop sta per popolare, nel senso di persona del popolo, voglio trasmettere la mia passione agli altri e raggiungere quante più persone possibili, perchè la cucina non è 'alta', bensì buona oppure cattiva.

Ho scritto questo libro per aiutare i giovani a proseguire nei propri sforzi e far capire a chi ha poca passione che forse dovrebbe occuparsi d'altro".

Articolo tratto da: Millionarie - Giugno 2009

lunedì 14 marzo 2011

Mario Biondi - Voce Soul, anima sicula


Mario Ranno, in arte Mario Biondi, 41 anni.

Suo padre era un cantante, la nonna pure; ha iniziato a esibirsi in pubblico a 12 anni, come corista in chiesa; è un basso naturale, un timbro di voce su cui ha lavorato per anni, acquisendo i segreti di cantanti soul come Lou Rawis, Al Jarreau e Isaac Hayes.

La sua è una lunga gavetta, in giro per l'Italia: etichette di nicchia, turnista delle sale di registrazione, poi, dal 1988 spalla di big della black music, come Ray Charles; si è dedicato allo studio dell'inglese, lingua in cui ha scelto di cantare.

Nel 2004 comincia a sentirsi in radio, una voce da soul man, è boom, si pensa a un erede americano di Ray Charles, invece è un sicilianissimo.
Tale Mario Biondi.

"Faccio questo mestiere fin da ragazzo, sono sempre stato un girovago, quando non sei famoso, non sopravvivi se non ti metti in gioco al 100%, devi correre; adesso, forse ho un po' di relax, riesco a dedicarmi maggiormente alla parte artistica.

Lavoro, impegno, famiglia, sì, sono così, talvolta mi rimprovero da solo, sempre a testa bassa nelle cose da fare, in prima linea tra musicisti, spettacoli e problematiche da risolvere; ho creduto nel mio mestiere , me lo sono sudato il successo.

Prima del 2004 ho persino trascurato la mia salute, cantavo tanto e non mi fermavo mai, per le mie serate guidavo per centinaia di chilometri, da solo, di notte, dormivo poco e mangiavo poco.

La mia compagna mi diceva che stava con un camionista slavo, ma, alla fine, ho avuto grandi soddisfazioni, cercando di essere me stesso.

Sono rimasto siciliano inside al 100%, per nascita, per sangue, per ideologia, ho amato e stimato mio padre, mio nonno e la gente della mia terra, grandi valori, attenzione ai particolari, rispetto per i sentimenti altrui.

Forse, gli unici che mi hanno lasciato perplesso sono stati i discografici, mi dicevano: fai un genere che non va bene, ma le migliaia di persone alle mie serate mi dimostravano il contrario; quello che piace alla gente e quello che i discografici pensano riguardo ai gusti del pubblico sono due mondi separati da una lastra di plexiglas.

I ragazzi a volte mi chiedono che cosa fare per avere successo, ma io sono sempre stato me stesso, a chi mitizza le apparizioni in tv, le tournèe, dico che quella degli artisti è una vita da disgraziati, sempre sbattuti in giro, stanchi, molti s'impasticcano per reggere disagi e fatica.

La scelta di fare musica non può essere un fattore estetico, chi è a caccia di successo senza l'amore per la musica, lo fa per avventura: può divertire, ma può anche fare molto male, ogni cosa deve avere il suo peso e il suo valore.

Siamo in una società "leggera", volgare, dove è diventato strano provare stupore, in tv, per esempio, non c'è più censura, non c'è più limite; sì, ho fatto qualche ospitate, ma a volte ho detto anche no, non sono mai sceso a compressi con me stesso".
Fonte: Millionaire settembre 2009
Articolo di: Silvia Massa

sabato 5 marzo 2011

Marc Simoncini, ideatore di Meetic


Ha inventato Meetic mentre era sommerso dai debiti, oggi il portale degli incontri vale in Borsa 470 milioni di euro:
"Perdere tutto è la miglior cosa che mi sia mai successa", spiega Marc Simoncini.

C'è una coppia che si abbraccia felice e, l'immancabilie form da compilare con tutti i tuoi dati: chi sei, chi cerchi, quanti hanni hai, dove vivi, iscrizione gratuita, Mettic funziona così, in pochi secondi precipiti in un turbine di facce, profili, messaggi.

E, preso per la gola, tiri fuori la carta di credito e ti abboni per vedere più foto o chattare: 30 euro al mese, circa 75 euro per sei mesi, se invece cerchi moglie e ti affidi al profilo psicologico, 120 euro per tre mesi, oppure, 240 euro all'anno.

Marc Simoncini, il francesissimo imprenditore che nel 2002 si è fatto venire l'idea di Meetic e ci ha costruito sopra un impero; Marc è un informatico marsigliese, classe 1963, è affascinante, ama il rischio e a volte se lo va a cercare anche dove non dovrebbe.

In Francia lo guardano un po' con sospetto, perchè il suo stile imprenditoriale e la sua stessa storia di self made man sono più americani che europei, Marc dichiara: "Sono stato povero, molto ricco, fallito e ora ancora molto ricco, almeno sulla carta".

Nonno contadino, padre assunto presso France Telecom, monolocale familiare, gli anni sono quelli dei primi Pc, la Rete è ancora lontana; suo padre gli presta l'equivalente di poche migliaia di futuri euro per lanciarsi in un'avventura in proprio.

Marc lascia l'università, si specializza in informatica e prova l'esperienza di uno stage in azienda, nasce così nel 1985 una piccola società di servizi e, quattro anni dopo un'altra, la Opsion.

Alla fine del secolo Marc, butta giù un codice che funziona e struttura il portale partecipativo di iFrance, che durante la bolla della new economy fa il botto, l'azienda Vivendi glielo compra per 180 milioni di euro, molti dei quali in titoli.

Il neoricco Marc spende tanto, tantissimo, ma nel 2003 il titolo passa da 116 euro a 12 euro e l'imprenditore si trova di nuovo povero e con una montagna di debiti.

Però, pochi mesi prima, a cena con tre amici divorziati, il francese si era inventato Meetic, un'idea per aiutare loro, poi quelli come loro, infine anche se stesso, perchè il portale diventa l'unico appiglio su cui concentrarsi per non andare alla deriva.

Marc Simoncini sostiene: "Perdere tutto è la miglior cosa che mi sia mai successa, perchè altrimenti non avrei mai lavorato così duramente su Meetic".

Fermarsi? Nemmeno per sogno
.

Fiuta il business del poker on line e apre il portale Winamax; poi mette la testa anche sui capitali fuori dalla Rete e tira su Jaina Capital, un fondo per investire 100 milioni di euro su cinque-sei startup francesi in due anni.

Poi, compare anche in tv con un programma durante il quale, ogni giorno, presenta un imprenditore nuovo e, se non bastasse, concede spazio alla filantropia, mettendosi in società con altri due magnati d'Oltralpe per creare una specie di scuola di formazione per Internet, l'Ecole Européenne des Métiers de l'Internet.

Nel 2005 entra in Borsa con Meetic, lui mantiene una piccola quota, l'azienda funziona, ma la concorrenza dei social network si fa sentire; la gente comincia a chiedersi perchè spendere per conoscere gente quando lo posso fare gratis?

Marc Simoncini a metà dicembre 2010 fa una mossa poco chiara, annuncia di voler uscire da Meetic, e, di voler rimanere al massimo come manager di transizione, il titolo perde subito il 30%.

Qualcosa bolle in pentola; sul Web, su un sito chiamato Cojetage, una specie di car pooling per ricconi fatto con i jet invece che con le auto, vi si legge che il 75% potrebbe essere di Marc Simoncini, sarà vero?

Articolo tratto da: Millionaire, di Alessandro Calderoni